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La storia

La storia

Bologna, 8 marzo 1955. Anna e Angela furono arrestate davanti alla fabbrica Ducati per aver distribuito mimosa in occasione della Giornata Internazionale della Donna e condannate a un mese di reclusione da scontare presso il carcere di San Giovanni in Monte, oggi sede del dipartimento di Storia dell’Università di Bologna. Sessant’anni dopo, San Giovanni in Monte è il luogo deputato a riportare alla luce le storie delle migliaia di persone che negli anni Cinquanta vennero ingiustamente licenziate dalle fabbriche a causa dell’affiliazione a organizzazioni politiche e sindacali della sinistra. Nel pieno della guerra fredda e della violenta repressione perpetrata dalla polizia nei confronti del movimento operaio durante scioperi e manifestazioni, persino un innocuo fiore come la mimosa veniva considerato un simbolo sovversivo, sinonimo della lotta per l’emancipazione femminile.

Il carcere di San Giovanni in Monte

Negli anni Cinquanta migliaia di bolognesi furono incarcerati in questo luogo per aver preso parte a manifestazioni, assemblee politico-sindacali, scioperi, comizi, o semplicemente per aver distribuito volantini e affisso manifesti, a causa del codice penale fascista ancora in vigore che veniva usato per reprimere i militanti di sinistra.

Bologna nella guerra fredda

Bologna è l’unica città occidentale di grandi dimensioni governata dal partito comunista durante tutto il periodo della guerra fredda. Negli anni Cinquanta, era pertanto vista come una minaccia all’ordine costituito sia dal governo italiano che dagli Stati Uniti.

Lotte per il lavoro

All’epoca, numerosi furono gli scioperi e le manifestazioni contro i licenziamenti nelle fabbriche, per il lavoro nelle campagne e per migliori condizioni di lavoro. Le donne furono al fianco degli uomini nelle mobilitazioni, subendo la violenta repressione poliziesca di cui furono vittima i lavoratori.

La mimosa proibita

La mimosa nell'Italia Repubblicana divenne il simbolo della Giornata Internazionale della Donna. Erano le donne stesse a diffonderla, nei banchetti istituiti nei centri cittadini e nei luoghi di lavoro. Assieme alla cassettina per le offerte, divenne il corpo del reato che provocò l’arresto delle quattro donne.